I CRISTIANI SONO NEL MONDO CIÒ CHE L'ANIMA È NEL CORPO
di Luigi Monaco
da Vita Francescana n. 2 - 1985
«Tutte le realtà che costituiscono l'ordine temporale, cioè i beni della vita, della
famiglia, la cultura, l'economia, le arti e le
professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali e
così via, come pure il loro evolversi e progredire, non soltanto sono mezzi con
cui l'uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma
hanno un valore proprio, riposto in esse da Dio» (AA
7).
Più di qualche autore, non
ingiustamente, riporta questo testo del
Decreto sull'apostolato dei laici (AA) come descrittivo della teologia
delle realtà terrestri. (1).
E’
evidente che i campi segnalati dal testo citato, non sono per niente esaustivi, ma soltanto
indicativi, a dimostrare l'ambito dell'applicazione del cristiano ed indicare
dove è richiesta la presenza di un'attività
evangelica, per santificare tutta l'attività umana. Infatti di questo si parla.
Come l'uomo credente anima la realtà umana? Che significato e quale ruolo ha la
fede in tutto ciò che l'uomo produce, consuma, vive? La realtà umana ha un
significato a se stante o dipende in tutto e per tutto dalla rivelazione? In
quali campi specifici deve applicarsi l'impegno del credente? Solo nel
religioso o anche nel profano, come, per es., la
scienza e la politica? Interrogativi certamente non nuovi, anzi sicuramente
vecchi. Eppure non hanno trovato — e chi sa se troveranno — risposte adeguate,
per una realtà per se stessa complessa, come tutto ciò che appartiene all'uomo.
Eppure non si può ignorare la legittimità di questi
interrogativi, anche perché oggi più di ieri questa animazione cristiana del
temporale è più avvertita e più sollecito si fa il magistero, a tutti i livelli, nella spinta verso una presenza nel profano di
coloro che credono (2).
In momenti in cui sembrò che la scienza fosse
coniugata esclusivamente per dare scacco alla fede; quando il successo della
tecnica sembrò mettere in discussione principi della rivelazione; quando il
succedersi incalzante di attività pragmatiste sembrò relegare in esilio lo
stesso Dio e si notarono masse abbandonarsi ciecamente alle capacità razionali,
senza più considerare la provvidenza come elemento essenziale della storia;
allora, sorse quasi un «caso di coscienza» (3) per tutti i credenti, che
si sentirono come emarginati e stranieri in un mondo che pure avevano
costruito: i credenti si sentivano ospiti in un mondo che, pure, era il loro e
nel quale dovevano riscoprire il senso del servizio, mediante una presenza
generosa, collaboratrice, intelligente, ricca, soprattutto, di fede.
Un «caso di coscienza» che richiedeva riflessione teologica e non solo
atteggiamento morale; «caso di coscienza» che sollecitava a guardare
«dentro» le attività umane e vincere una certa diffidenza manichea,
onnipresente in momenti storici non del tutto tramontati; «caso di coscienza»
infine che doveva portare ad un ottimismo non gratuito, ma autenticato dalla
forza della incarnazione, opera volta a ricapitolare tutto in Dio; tutto,
perciò la stessa creazione nella sua totalità e nelle diverse manifestazioni,
di mano e di pensiero.
Il campo da evangelizzare e l'ambito della presenza
andavano dunque delimitati da una visione teologica globale dove dominasse la
parola di Dio, la rivelazione, il magistero, i segni dei tempi, per restituire
a Dio, mediante la fede generosa e la carità operosa, quanto aveva affidato
all'uomo, quanto l'uomo aveva corrotto con la forza disgregatrice del peccato e
Gesù aveva ricucito in unità e riconciliazione.
La teologia delle realtà terrestri si diede una
definizione: «Per realtà terrestri, noi designeremo tutte quelle cose, quelle
condizioni, quelle azioni, quelle evoluzioni il cui fine primario e immediato è
situato nel mondo visibile, caduco, terrestre» (4). Una definizione con tutti i
suoi pregi ed i suoi limiti. Eppure abbastanza rivelatrice per indicare
approcci ed impegni e trasformare ogni realtà.
«Il popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di
essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l'universo, cerca di
discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende
parte insieme agli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni
della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti, tutto rischiara di una
luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, e
perciò guida l’ intelligenza verso soluzioni pienamente umane. In onesta luce,
il Concilio si propone innanzitutto di esprimere un giudizio su quei valori che
oggi sono in grandissima stima e di ricondurli alla loro divina sorgente» (GS
11).
I teologi hanno
preparato, con la loro riflessione ed i loro interventi, questo passo della
Gaudium et Spes. Essa, unitamente ad altri testi, descrive l'essenziale della
teologia delle realtà terrestri e segna quindi un diverso modo di porsi del
credente verso l’attività umana.
A proposito, diceva PAOLO VI, proprio a conclusione
del Vaticano II: «La religione di Dio fatto uomo si è incontrata con la
religione (perchè tale è) dell'uomo che si fa Dio. Che è avvenuto? Uno scontro,
una lotta, un anatema. Poteva essere; ma non è avvenuto. L'antica storia del
samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia
immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto più grondi
sono, quando più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l'attenzione
del nostro sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni,
rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscete il nostro
nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell'uomo» (5).
Il Concilio non aveva fatto altro che raccogliere i
frutti di semi che erano stati sparsi decenni prima. Nomi come quello del
teologo belga G. Thils che con la sua Teologia delle realtà terrestri
(6) a quello di T. Teiihard de Chardin (si ricordi che Le milieu divin è
1927) a Péguy (il poeta dell'incarnazione), all'umanesimo cristiano tra il
1934-1937 e a quello «umanesimo integrale» del 1936 di J. Maritain. Non sono
che dei nomi per accennare e ricordare molto velocemente quei interpreti
«incarnazionisti» (fra i quali spiccava il Thils) e gli «escatologisti»
(tra i quali Bouyer), che, volta a volta, esasperarono posizioni tese tra un
ottimismo superficiale ed un pessimismo viscerale.
La riflessione teologica andava avanti lentamente pure
nelle esasperazioni.
Si trattava di intuire, tra le opposte tendenze,
quella incarnazionistica, tesa ad un impegno del cristiano nel mondo per
recuperare una continuità tra storia umana e storia profana, sforzo non sempre
riuscito, sebbene teoricamente definito, e quella escatologista tendente
ad una discontinuità tra l'opera dell'uomo e quella di Dio e per ciò amante di
una «fuga» dall'impegno nel sociale; si trattava di cogliere gli elementi di
mediazione e di continuità in un mondo in fase accellerata di evoluzione. Per
individuare questi elementi di comunione, necessariamente il teologo dovette
riflettere sulle singole attività umane, per tentarne, in fine, una sintesi,
non a tutti e non sempre riuscita. Si ebbero così opere come «Per una teologia
del laicato» (7), «per una teologia del lavoro» (8), «teologia della materia»,
le opere di T. De Chardin, difeso dal De Lubac, il fenomeno della
secolarizzazione con la «Città secolare» (9), con la «teologia del mondo»
(10) «la teologia politica (11) e la «teologia della speranza» (12), la
«teologia della liberazione» (13) la cui eco non e ancora spenta. L'equilibrio,
pur nelle diverse, naturali posizioni, resta sempre un compito non facile e che
tuttavia non può disimpegnare il credente. «Ritengo di poter dire che il
messaggio evangelico non contiene direttamente alcun programma di azione
socio-politica, ma che l'altro canto presenta indirettamente una rilevazione
socio-politica nella forma dell’«utopia». Come dobbiamo vedere questo fatto? Il
messaggio evangelico dell'attesa escatologica cristiana fornisce la possibilità
ed il continuo stimolo a superare ogni volta lo stato di cose del momento. Il
messaggio evangelico è una critica a questa situazione: critica contro
istituzioni profane, contro strutture sociali, contro la mentalità che in esse
predomina. Esso ricorda che tale situazione richiede d'essere migliorata in
ogni suo aspetto e garantisce una certezza non effimera: è positivamente
possibile edificare un mondo più degno dell'uomo» (14).
Bisogna edificare una società temporale secondo il
cuore di Dio, immettervi in essa il Vangelo, animarla dal di dentro con una
supplenza d'anima pari alla crescita del corpo. I teologi hanno lavorato molto per restituire questo
compito al credente, per riportarlo cioè nel «terribile quotidiano» che
incatena e ci carica della croce, alla normalità che non gratifica ma che,
pure, permette il trionfo della giustizia, una maggiore solidarietà tra i
popoli ed una condivisione non solo proclamata ma vissuta sulla propria pelle.
Anzi. È sul terreno di una nuova sacramentalità che bisogna costruire il volto
del Verbo incarnato. Passare da una sacramentalità rituale a quella dei fatti
della vita, è un modo antico e nuovo di evangelizzare. Mai sacramenti di fatto,
quali la fede, la speranza, la carità, hanno lasciato insensibili miscredenti
ed atei, interrogandoli in quella intimità per la quale ogni anima è
naturaliter cristiana. Al contrario, è il caso di accennarlo, un consumismo
sacramentale, non raramente ha lasciato indifferenti non solo gli spettatori,
ma gli stessi protagonisti.
Pur tra le opposte tendenze, dal momento che la
ricerca era comunque sincera, non poteva che nascere una magnifica sintesi
attraverso l'antropocentrismo teologico.
«La considerazione teologica dell'uomo pervade in
qualche modo tutta la teologia, costituendone una dimensione trascendentale. È
vero infatti che la teologia ha per oggetto centrale Dio nella sua vita intima.
Ma questa vita intima è rivelata in quanto si comunica all'uomo. La teologia
quindi parla sempre anche dell'uomo, senza riferirsi a Dio, senza
considerare cioè l'uomo come un soggetto destinato a partecipare alla vita
divina. In questo senso si può dire che la teologia cristiana è sempre
antropocentrica» (15). È descritto così il compito del teologo ma anche
l'impegno dell'uomo cui niente è estraneo, perché nulla fu alieno al Verbo
incarnato. La motivazione fondamentale della considerazione specificamente
teologica, trova sempre, nell'Incarnazione, la sua forza e la sua
giustificazione. «Se esiste una rivelazione formale riguardante l'uomo
concreto, esiste una rivelazione formale, implicita e forse oscura, ma reale,
concernente tutti i valori terreni che hanno rapporto con lui» (16). Ne
consegue un retto modo di porsi di fronte alla realtà umana, forse una nuova
metodologia che i teologi hanno così sintetizzata:
— «studiare
razionalmente le realtà terrestri in se stesse, considerandole nella loro
essenza e nel loro significato umano»;
— «chiarire le stesse realtà alla luce della
rivelazione cristiana totale» (17).
Giustamente notava C. Duquoc: «Finché i teologi non
hanno preso sul serio lo studio di queste realtà nel loro stesso essere, e con
i metodi richiesti dall'essenza di queste realtà, è vano sperare una teologia
delle realtà terrestri che risponda non soltanto alle richieste del pensiero
contemporaneo più esigente, ma anche alle esigenze dei credenti impegnati nel
mondo» (18).
Con il Vaticano II non solo i teologi ma soprattutto il Magistero ha
spinto in questo senso, determinando ambiti ed impegni dei credenti. Qualche
testo tra i più opportuni:
—
è dei laici cercare il
regno di Dio trattando le cose temporali (LG 31 ; GS 43; AA2.5.7);
—
i laici consacrino a Dio il mondo intero (LG
34);
—
è compito dei laici animare di valori umani
e cristiani gli strumenti della comunicazione sociale (IM 15);
— i laici rafforzino la forma
di apostolato nell'ambiente del lavoro (AA 31);
—
rapporto tra messaggio
di salvezza e cultura (GS 58);
—
servire con maggiore
generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo (GS 39);
—
per una politica veramente umana (GS 73);
—
partecipazione dei cristiani come contributo
alla pace (GS 72);
—
il Concilio instaura il dialogo con il mondo
(GS 3)
—
il Concilio esprime il suo giudizio sui
valori umani (GS 11),
—
il Concilio considera
con rispetto tutto ciò che c'è di buono nelle istituzioni umane
(GS 42,
47).
Non sono che
alcuni riferimenti indicativi per rilevare la portata che il Concilio ed il
dopo-Concilio stanno assegnando all'impegno del cristiano nel mondo e per il
mondo.
Del resto, già i soli titoli della
Costituzione pastorale indicano l'indirizzo del Magistero intima unione della
Chiesa con l'intera famiglia umana, le condizioni dell'uomo nel mondo
contemporaneo, la Chiesa e la vocazione dell'uomo, la dignità della persona
umana, ['attività umana nell'universo, la missione della Chiesa nel mondo
contemporaneo, i vari problemi più urgenti dell'uomo.
Con ciò non si vuoi dire che la Chiesa abbia esaurito
tutti i problemi e risposto a tutti gli interrogativi di cui all'inizio.
«La Chiesa anche se non ha sempre pronta la soluzione
per ogni singola questione, desidera unire la luce della rivelazione alla
competenza di tutti, allo scopo di illuminare la strada sulla quale si è messa
da poco l'umanità» (GS 33).
Una strada dove è riconsiderata la storia dell'uomo,
di ciò che è e di quanto fa, alla luce della creazione, del peccato, della
redenzione, per non vanificare l'opera di salvezza del Padre realizzata dal
Figlio ed attualizzata per mezzo dello Spirito. La Chiesa a ciò serve: questo
deve vivere ed insegnare. Non si intende indulgere ad un facile ottimismo né
accogliere acriticamente posizioni come queste Don Fragoso «Ho chiesto a
ciascuno di portare il proprio strumento di lavoro la zappa, il badile, l'ago
per cucire All'elevazione essi alzano il loro strumento Dopo questo io domando,
tenendo l'ostia sulla paterna — Quante ostie ci sono? — Un'ostia — rispondono
No, ci sono più ostie, la vostra il vostro lavoro. Ogni professione, ogni
lavoro ha la sua ostia» (19) Si vuole richiamare l'attenzione e risvegliare la
coscienza sulle proprie responsabilità nei confronti del mondo, nella sua
totalità. Perciò:
—
riscoprire la vocazione
della Chiesa,
—
sentirsi parte di un tutto (corpo),
—
perché liberati e salvati, liberare e
salvare,
—
trasformati, trasformare l'uomo ed il suo
prodotto,
—
sviluppare una cultura di presenza e di
mediazione,
— superare ogni egoismo spirituale per accogliere una
salvezza universale,
—
credere fortemente nella
forza della Incarnazione che distruggendo il peccato, ha fruttificato
comunione, pace e riconciliazione,
—
vivere la fede in Dio,
ma anche nei fratelli;
—
accogliere l’attività
politica, culturale, scientifica non come potere ma
come servizio;
—
usare delle ricchezze non per negare Iddio,
ma per farne lodare la bontà, mediante la nostra carità;
—
assumere le piaghe del mondo non come
condanna ma come conseguenza del peccato, perciò redimerle;
—
essere non «contro» ma «con» e «per»
gli altri. Non sono che esemplificazioni che i Francescani Secolari
devono vivere dal momento che ne conoscono gli enunciati, sia per la loro spiritualità
specificamente secolare sia per l'esempio magnanimo del Serafico Padre
che nella natura cantò il Creatore e dal creato seppe risalire a Dio.
Ecco dei testi, conclusivi, dell'atteggiamento e
dell'essere-cristiano in questo mondo, tali da farci riflettere e, semmai
riscoprire la pregnanza della vocazione francescana:
«Nel ritmo generale della vita cristiana, sviluppo e
rinuncia, attaccamento e distacco non si escludono. Invece, si armonizzano
come, nell'attività dei polmoni, l'aspirazione e l'espirazione dell'aria. Sono
i due tempi della respirazione dell'anima, o, se preferiamo, le due componenti
dell'impulso che spinge continuamente ad appoggiarsi alle cose per superarle»
(20). Famoso il testo della Lettera a Diogneto: «I cristiani non si distinguono
dagli altri uomini né per territorio, né per lingua né per costumi. Non abitano
città proprie, né usano un gergo particolare, ne conducono uno speciale genere di vita... Ma, pur vivendo in città greche o barbare, e uniformandosi alle abitudini del luogo nel
vestito, nel vitto e in tutto il resto, danno l'esempio di una vita sociale
mirabile, o meglio, — come
dicono tutti — paradossale. Abitano nella propria patria, ma come pellegrini;
partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma tutti sono staccati come
stranieri; ogni nazione è la loro patria, e ogni patria è una nazione straniera...
Per dire tutto in breve: i cristiani sono nel mondo ciò che l'anima è nel
corpo» (21).
«Tutto è vostro, infatti: ma voi siete di Cristo, e
Cristo di Dio» (I Cor 3,22s).
La «Riconciliazione cristiana e la comunità degli
uomini» questo ultimo lavoro, in ordine di tempo della Chiesa che è in Italia,
ancora una volta ha interpretato queste ansie riconciliatrici
ed assegnato il compito che ogni credente ed ogni chiesa deve svolgere (22).
Nessuno, più dei Francescani Secolari, dovrebbe
trovarsi a proprio agio ed a proprio posto, per assumere questi principi e viverli in testimonianza operosa. Non è la loro vita
un «passare dal Vangelo alla vita e dalla vita
al Vangelo»? (Reg. 4).
1) FROSINI G, Teologia delle realtà terrestri
Torino 1971, 7.
2) Cfr. per es. La
Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (GS); il Decreto
sull'apostolato dei laici (AA).
3) FLICK M.-Z.ALSZEGHY, Lo sviluppo del dogma
cattolico. Broscia 1967, 77.
4) DAVID J., La
théologie des réalités terrestres,
in Q. Paris 1966, 177.
5) Documenti della Concilio Vaticano II,
Bologna 1966, 1094.
6) THILS G., Teologia delle realtà terrestri,
Bruges -Paris 1947.
7) CONGAR Y.M.J. Per una teologia del laicato,
Brescia 1966.
8) CHENU M.D., Per una teologia del lavoro,
Torino 1964; Per una teologia della materia, Torino 1966.
9) COX H., La città secolare, Firenze 1968.
10) METZ J.B., Sulla teologia del mondo, Bologna 1969.
11) METZ J.B., Sulla
teologia politica, Bologna 1969.
12) MONDIN B., I teologi della speranza,
Torino 1970.
13) Istruzione sulla Teologia della liberazione, 1984.
14) SCHILLEBEESKX E.,
in Dio, il futuro dell'uomo,
Roma 1970.172.
15) FLICK M. - ALSZEGHY Z., Fondamenti di un antropologia teolotica,
Firenze 1970, 4.
18) DUQUOC C., Escatologia e realtà terrestri, in la Chiesa
e
il mondo, Bologna 1969.
19) Da LAURENTIN
R., L'Amérique
latine a l'heure de
l'enfantement, Paris 1968, 114.
22) Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, CEI,
Roma 1984.