Se il trascorrere del tempo
rappresenta senza dubbio un rimedio per le lacerazioni
affettive e spirituali che la morte opera in chi sopravvive, è altrettanto certo che al cristiano questa sola
consolazione non può bastare; per quanto difficile possa sembrare (e certamente
lo è), è coessenziale alla nostra fede guardare
anche alla morte in un atteggiamento di ringraziamento e di lode al Dio della
vita e della speranza.
Per questo, nel primo
anniversario della scomparsa di Padre Luigi, non
voglio insistere sul rimpianto profondo che, come un’eco ampia e sommessa,
ancora ci avvolge; cercherò piuttosto di cogliere l’invito, che ancora ci
giunge dalla memoria della sua persona e della sua esperienza, a percorrere col passo alacre della speranza il
nostro cammino di cristiani e di francescani.
Fede vissuta come testimonianza e azione pastorale
Mi pare che in Padre Luigi
l’atteggiamento di fede prevalesse nettamente su ogni altro aspetto della sua personalità; la cultura, la robustezza del
pensiero, la capacità sia di riflettere che di decidere, l’entusiasmo unito
alla volontà sono tutte qualità che in lui vanno comprese alla luce della fede
che scaturiva dalla profondità del suo essere e che segnava incisivamente la
sua azione di uomo, di religioso e di sacerdote.
Era una fede robusta, radicata
in salde radici familiari, temprata dall’esercizio sereno della disciplina
della vita religiosa, dalla consuetudine e
dall’intensità della preghiera, dal desiderio di Dio, venato anche di tensioni
mistiche.
Sarebbe stato facile per lui orientare questa fede esclusivamente verso la ricerca
teologica o verso la conoscenza esperienziale di
Dio; la indirizzò invece, senza sacrificarne in
nulla la saldezza ed il valore delle motivazioni,
verso la testimonianza e l’azione pastorale, verso la cura spirituale dei
fratelli. Si è trattato di una scelta schiettamente francescana, coerente in quanto le fonti francescane ci dicono sia sul
valore concreto e personale, sia sull’atteggiamento di Francesco nei confronti
scienza, anche di quella teologica. Dice in proposito la Leggenda perugina
(FF, 1628): «A tutti i frati che venivano a consultarlo sgomento, dava la
stessa risposta. E diceva: “Tanto un uomo sa quanto fa; e tanto un religioso è
buon predicatore, quanto lui agisce”. Come dire: l’albero buono si conosce al
frutto che produce (cf. Le, 6,44).
La capacità di padre Luigi di
agire con quel ritmo unico che tutti abbiamo sperimentato non era pertanto a un
livello inferiore o in posizione contraddittoria rispetto all’attitudine ad
essere, sia sul piano pastorale che su quello della vita fraterna, un maestro
ricco di dottrina, di disponibilità caritativa all’ascolto, di finezza
spirituale; neppure si trattava soltanto di sapere conciliare due aspetti
diversi della personalità (che sarebbe
pur sempre un fermarsi al livello della psicologia), ma della risposta
abbracciata e perseguita costantantemente.
Così come apparteneva alla
vocazione francescana l’entusiasmo trascinante con cui viveva (e faceva vivere)
le diverse esperienze vita fraterna di cui ha avuto la responsabilità, con i
laici come con i religiosi, a livello regionale o nazionale e internazionale.
II famoso «Tutt’a posto», con cui concludeva spesso le sue conversazioni (frequentemente di primo mattino, quelle telefoniche per risparmiare tempo e denaro...), anche se non corrispondeva sempre con esattezza
alla realtà, non può essere scambiato per una forma di ottimismo
ingenuo o per esemplificazione dei problemi; va considerato
invece come una testimonianza della speranza che scaturisce
dalla fede, che ne esprime all’esterno il libero e imprevedibili dinamismo; anche se l’impresa è umanamente
complessa, il sostegno possono darle la fede e la
speranza la colloca su un piano diverso la fa
considerare in un’ottica diversa. Così viene ripreso e reso attuale l’insegnamento di Péguy:
«Si dimentica troppo... che la speranza è una
virtù, che è una virtù teologale, e che di tutte le virtù, e delle tre virtù teologali, è forse la più gradita a
Dio... E’ lei che trascina tutto. Perché la fede
non vede che quello che è, e lei vede quello che sarà.
La carità non ama che quello
che è, e lei ama quello che sarà».
Certamente, a seguire queste
ardite linee di comportamento, si può essere considerati dei sognatori e degli
imprudenti; ma occorre avere presente anche la forza spirituale che è
necessaria per una vita e una testimonianza di fede; soprattutto si corre il
rischio di non valutare adeguatamente di quanta altra speranza e fede sia
segretamente generatrice questo renderne testimonianza. Presumo di potere dire,
non solo per quel che riguarda me, ma anche molti altri, che la testimonianza
di Padre Luigi è stata senza dubbio contagiosa.
Una grande coerenza interiore
Vissuta in questa dimensione
di fede che si lascia guidare dalla speranza, la vita di padre Luigi appare
segnata da una grande coerenza interiore, rivela la scelta di un modo di essere
e la fedeltà a questa scelta; un modo di vita giocato sulla disponibilità piena
alla volontà di Dio, un lasciarsi portare da lui anche sui crinali più impervi
e spericolati della assoluta libertà spirituale, un abbandonarsi fiducioso e
senza calcoli umani. Anche la sua morte, allora, diventa comprensibile e perde
quel carattere amaro che le ha impresso la tragicità del fatto. Mi piace
pensare che in quegli attimi estremi il volto di Dio gli sia apparso in
una dimensione non solo misericordiosa, ma paterna; come gli dové comparire
agli inizi della sua vocazione e come lo ha testimoniato nella sua missione di
religioso e di sacerdote.
È in questa prospettiva che
possiamo ricordare i momenti vissuti con lui, rileggere le sue pagine,
risentire le sue parole non come la rievocazione di un bene perduto e
rimpianto, ma come invito a vivere secondo fede e speranza.
(Campania Serafica. 26 (1994), 2, pp. 12-13).