GIOVENTU’ FRANCESCANA – NAPOLI

CORSO DI FORMAZIONE

CERRETO S., 4/5.4.87

 

 

 

DESTINATARI: Consiglio Regionale

                             Consigli Locali

                             Due rappresentanti  delle fraternità

 

TEMA: LA PARTECIPAZIONE  NELL’ANIMAZIONE

 

RELATORE: Fra’ Luigi Monaco

 

3a  RELAZIONE

 

PARTECIPAZIONE  (vd. Schema LETTERA C/a).

 

Definizione:Impegno personale dei membri nel gruppo o nell’organizzazione sociale (qui infatti la                 definizione  di partecipazione è vista nella globalità, all’interno della quale c’è la particolarità della fraternità). Il livello di partecipazione è direttamente proporzionale  al grado di coesione affettiva e di adesione dei membri al gruppo. La partecipazione moltiplica le interazioni e l’interdipendenza del gruppo.

 

Innanzitutto “Impegno personale” per cui, un gruppo, associazione, fraternità, vale al di là delle strutture e dell’organizzazione in rapporto alle capacità personali che sviluppa.

Se uno non vuole accogliere, non c’è niente da fare: se manca la dimensione personale, non si può andare avanti.

Ecco perché l’animazione  deve portare ad una “maturazione  libera  e autonoma”, il che vuol dire suscitare l’adesione personale.

Ci confronteremo all’interno della Chiesa  su queste cose laddove vediamo tanti fedeli uniti in grandi incontri ma che poi quando si vanno  a confrontare  sul reale, si diventa pochissimi.

 

Abbiamo detto che il livello di partecipazione  è direttamente proporzionale  alla coesione affettiva. Cioè l concetto di partecipazione si sviluppa non soltanto nello spazio temporale ma durante la vita, durante la giornata.

E’ evidente allora perché  c’è questo rapporto di proporzionalità. Quanto più c’è scambio interpersonale, tanto più c’è il concetto di partecipazione, ma anche un’adesione maggiore ai valori dello Statuto.

In pratica,il concetto di partecipazione è il termometro della fraternità e di ogni gruppo.

Ecco perché bisogna studiare su modelli nuovi gli interessi e anche le motivazioni, oltre che le qualità delle partecipazioni.

Se un soggetto costantemente rifiuta lo Statuto, è evidente che il concetto di partecipazione è minimo, anzi zero. La sua partecipazione  sarà motivata da altri interessi  e non da un interesse che supera la fraternità, ma che genera la fraternità, quale è per noi lo Statuto.

La partecipazione produce cooperazione. Ognuno deve cooperare dando il proprio contributo secondo il proprio specifico, perché una è la missione, diversi sono i ministeri. Se tra il Consiglio e la fraternità si instaura una “giusta relazione”  che è anche interazione, allora il concetto di partecipazione sostituisce i rapporti giuridici, perché in realtà non ci si appella più ad una legge esterna.

Difficilmente, e questa è  una pecca che proviene dall’insicurezza, l’animatore si appella allo Statuto. Eppure dovrebbe essere così naturale per uno che partecipa alla Gi. Fra l’adesione  allo Statuto. Intanto, quando l’animatore agita lo Statuto con le sue precise norme, nessuno vuole capirlo.

Il concetto di partecipazione comunque annulla, purifica, cristianizza a livello di carità i rapporti giuridici ai quali talvolta bisogna ricorrere.

L’animatore ha autorità  su chi ha fatto  la promessa e su quelli che si avviano ad accettare lo statuto. La promessa è una scelta in libertà dopodiché il Consiglio ha autorità nell’aiutare a perseguire questa scelta.

La partecipazione sviluppa delle relazioni

-più umane

-più adulte, cioè meno infantili.

Se partiamo dal concetto che partecipazione è sentirsi parte di tutto, non bisogna andare sempre dietro alle persone. La partecipazione diventa un bisogno di mediazione; di spiegazione costante. Per cui il Consiglio deve essere molto chiaro quando decide qualcosa.

Mediazione, perché se sento la realtà come mia, vado  a  chiedere spiegazioni; chi non la sente  come propria, non chiede mai spiegazioni.

La partecipazione è quindi uno dei principi base  dell’animazione. Ci vuole un’attitudine di accettazione di sé stessi e degli altri: si sente partecipe colui che  è accolto. Ci vuole però anche la volontà da parte del soggetto di cooperare.

Si parla di sensibilità universale di cooperazione perché tutti andiamo soggetti a simpatie  e quindi l’occasione di partecipare  bisogna offrirla a tutti.

E’ vero che è difficile avere uno sguardo per tutti  però dovremo evitare di fare particolarità specie in una dimensione educativa. Perciò dobbiamo studiare il modo affinché ognuno dia quello che può dare.

Partecipare insieme alle iniziative non vuol dire “tutta l’assemblea”. Questo ‘insieme’ vuol dire che, in realtà, la maggior parte si deve muovere in un certo modo. Non vuol dire, quindi, TOTALITA’ ma in rapporto all’ideale scelto.

Considerando che siamo una fraternità dobbiamo credere che inizialmente stiamo  insieme non per volontà nostra ma perché abbiamo  accettato di fare un’esperienza di fraternità.

Scendendo sul concreto, parliamo ora di:

PARTECIPAZIONE ALLA VITA COMUNITARIA, che vuol dire REALIZZAZIONE PERSONALE  E DELLE FRATERNITA’.

IO NON STO CON GLI ALTRI MA PER GLI ALTRI. Infatti, se dovessi stare con gli altri, sarebbe difficilissimo. Quindi non sto con gli  altri perché mi sono  simpatici (dimensione di simpatia), ma sto per gli altri (dimensione oblativa, ovvero di sacrificio).

La realizzazione personale autentica altri tipi  di scelte, si cautela suscitando nel soggetto la partecipazione ai momenti “che si vuole”.

Quelli che lavorano, ad esempio non possono  più fare piena esperienza di Gi.Fra ma ciò non significa che siano al di fuori  della fraternità. Quindi fatto salvo il concetto di partecipazione, ci vuole molta tolleranza perché “la legge è per l’uomo”.

LA FRATERNITA’ VALE PER IL SNGOLO E IL SINGOLO PER LA FRATERNITA’.

La fraternità è una realtà vivente, è forma di vita e quindi è difficile raggiungere  un equilibrio.

Quando qualcuno non viene per un po’, dobbiamo interessarci al perché non viene. Non possiamo tagliare fuori delle persone che non hanno più la disponibilità  di tempo di una volta. Andiamo verso una realtà storica che, se anche  non fosse intravista  nello Statuto, dovremo inventarla. E’ chiaro che, passando gli anni, avviene un’integrazione nel sociale del soggetto che comporta certi problemi. Se ciò non avvenisse, sarebbe un falso problema.

Queste persone porteranno in fraternità la loro nuova esperienza  chiedendo sostegno nella preghiera.

E’ un livello diverso di partecipazione.

Parliamo ora di REALIZZAZIONE PERSONALE ALL’INTERNO DELLA FRATERNITA’.

Siamo molto sensibili alla maturazione  personale, ma pochissimo  a quella della fraternità.ciò vuol dire che anche la fraternità deve chiedersi come Francesco. “SIGNORE COSA VUOI CHE IO FRATERNITA’ FACCIA?”.

Da qui nasce l’attenzione alla Chiesa locale, ai problemi sociali  che potrebbero esserci in loco. Ed ecco perché noi, eccetto il progetto TAU, difficilmente indiciamo iniziative  a livello nazionale, nella consapevolezza che ciò che può essere valido in un luogo non lo può essere in un altro. Per questo dobbiamo, e qui il consigli ha il discernimento, anche chiederci qual è la realizzazione della fraternità in loco.

ILOL SINGOLO NON DEVE SUBIRE IL PROPRIO LAVORO; se si sente partecipe non fa le cose “con la fune al collo”. Ad esempio, quando bisogna far le pulizie, in quel giorno ognuno ha qualcos’altro da fare! E a  volte dobbiamo dire che la non partecipazione del singolo impedisce  alla fraternità di raggiungere gli scopi. Quindi, non si deve subire il proprio lavoro, perché in realtà  è il lavoro della fraternità, laddove ognuno da un contributo.

E il lavoro proprio perché offerto deve essere vissuto con gioia. Se all’interno della fraternità ognuno da il proprio contributo lavorando “con la faccia appesa” vuol dire che non c’è il concetto di partecipazione.

Quando la gestione della fraternità diventa la gestione di partecipazione, le cose vanno benissimo. E il singolo deve partecipare  attivamente come in proprio, con lo stesso impegno, cioè, che vi mette quando realizza le cose per se stesso.

La  base di tutto questo discorso è la INTEGRAZIONE PSICOLOGiCA ALLA VITA DEL GRUPPO:per cui se mi manca la fraternità, mi manca qualcosa. E se mi manca qualcosa  la vado a  cercare e   a trovare. Ho degli elementi: Dio, la fede, la famiglia, la fraternità. Se mi manca quest’ultima sono “non integrato psicologicamente” e quindi la vado a  cercare. Per cui, se sto altrove, in un altro gruppo dove faccio l’animazione o in fabbrica, deve essere una costante  che mi fa sentire che mi manca qualcosa.

Per suscitare però la partecipazione negli altri membri bisogna un po’ decentralizzare .

La decentralizzazione è un sistema organizzativo che permette la partecipazione delle persone all’attività della comunità con le migliori garanzie di successo perché LA PARTECIPAZIONE CON L’AUTORITA’ DEVE SITUARSI A LIVELLO DI STRUTTURE VICINO ALLE PERSONE.

Quindi ai membri della comunità bisogna dare un ruolo.

E’ però un errore che ci si senta realizzati perché  si ha un particolare lavoro. La persona vale in quanto è. Così nella fraternità non dobbiamo arrivare ad inventare dei ruoli perché l’altro si senta a  suo agio.

Si decentralizza perché non possiamo mortificare la persona per dare il privilegio alla struttura.

Quando si decide qualcosa da fare, dovete chiedervi:

-cosa?

-chi?

-come?

-quando?

 

Parliamo ora di: PARTECIPAZIONE ALL’ELABORAZIONE DELLE DECISIONI.

Partecipare vuol dire anche avere una parte di responsabilità nelle decisioni. Bisogna far si che l’assemblea  abbia sicurezza  di fare quel che vuole. Chi decide, infatti, è in realtà il Consiglio, perché l’assemblea ha delegato ad  esso il potere decisionale, quando lo ha eletto.

Il senso dello Statuto è questo. Se il Consiglio è  espressione  dell’assemblea, questa ha delegato il Consiglio a questo tipo di servizio.

Tuttavia il Consiglio rimanda all’assemblea: in che modo?

 Lo fa, ad esempio, con i gruppi di consultazione.

Quindi, il Consiglio restituisce alla fraternità  in modo diverso il tipo di autorità  per “suscitare partecipazione”.

I GRUPPI DI CONSULTAZIONE possono essere:1) permanenti; 2)occasionali.

Il consiglio stesso quindi deve suscitare  questa collaborazione nell’elaborare decisioni.

E quindi nasce  anche la consultazione con i  sottogruppi ,che a differenza  dei gruppi di consultazione decisi dal Consiglio, sono spontanei.

Essi esistono e non li si può eliminare, anzi l’eliminazione  dei sottogruppi uccide la fraternità. Si deve prendere coscienza dell’esistenza del sottogruppo e lo s deve consultare.

Esso, di solito, ha un’integrazione sofferta dal punto di vista dialettico, mentre il “gruppo di consultazione” è più specialistico perché riceve una delega.

Per suscitare ancora il senso di partecipazione  bisogna VERIFICARE COSTANTEMENTE LE INIZIATIVE.

Per questo, la partecipazione si sviluppa anche in rapporto ai traguardi possibili. Infatti, quando il traguardo prestabilito è sproporzionato alle capacità e quindi non si realizza, la partecipazione  fallisce. Ciò avviene anche  quando si rimandano per moltissime volte delle iniziative. Dunque, bisogna avere un momento  di verifica costante.

Quali sono i diversi modi di partecipazione all’elaborazione delle decisioni?

Gli araldini, le missioni, la cultura sono i CAMPI d ove bisogna suscitare dei gruppi di consultazione  in maniera tale che il Consiglio non sia una roccaforte e che la base non cammini per conto suo.

Tra gli stimoli del gruppo di consultazione c’è anche quello del “problema genitori”:  sono sempre più numerosi infatti quei genitori che vogliono vivere  certi momenti con voi gifrini  e pertanto sarebbe il caso di cominciare  a coinvolgerli. Così spesso anche i fidanzati  chiedono dello spazio in proprio: bisogna essere in ascolto.

Riassumendo: il Consiglio è un’equipe responsabile che si incontra, discute insieme  e crea iniziative. Tutto quello detto finora infatti non deve togliere degli spazi specifici al Consiglio.

Bisogna vedersi più spesso senza arrivare  a degli eccessi. A volte l’incontro può essere fatto anche senza avere la totalità: chiaramente, perché ciò avvenga senza traumi, c’è bisogno di fiducia all’interno dello stesso.

Quindi, secondo una linea gerarchica, non è che la partecipazione comporta ch ognuno la pensa allo stesso modo.

Il voto dell’ultimo arrivato in Gi.Fra. ha la stesa validità di quello di chiunque altro, anche dell’assistente.

Tuttavia, la presenza secondo una linea gerarchica non è tanto in rapporto al Consiglio, bensì ai valori che vengono proposti dallo Statuto.

Pertanto, sono gli obiettivi insiti nello Statuto e cioè:

-idee fondamentali;

-vocazione;

-fraternità;

-coerenza personale  e della fraternità a stabilire un’autentica gerarchia dei valori.

Pertanto, secondo quanto detto, non è più il consiglio ad essere ‘capo da solo’, ma un vero e proprio ‘sistema collegiale’, talvolta anche assembleare, con il principio di sussidiarietà.

Vale  a dire, un “giusto ordinamento del potere, che per noi è servizio con coinvolgimento con dell’assemblea.

Se diversamente il consiglio decide ed organizza senza consultare l’assemblea è probabile che si abbia una “frattura di cammino”.

Invece, laddove esiste ed è applicato il principio di sussidiarietà che aiuta questa partecipazione allora ci può essere integrazione tra Consiglio ed Assemblea per una migliore gestione della fraternità, che è compito di ogni membro della stessa.